Articolo sulla “mia missione” in Etiopia

Avrei voluto scrivere alcune cose sull’ultimo week-end ma, essendoci state emozioni contrastanti, le parole non fluivano come volevo e quindi incollo l’articolo scritto per il giornalino della parrocchia circa la mia esperienza in Etiopia.

Mi è stato chiesto di scrivere un articolo, per il mese missionario, sulla mia seconda esperienza in Etiopia.

Per non essere ripetitivo sono andato a rileggermi l’articolo che scrissi sulla prima esperienza. Ebbene, ho notato che le cose non sono cambiate di tanto. In quell’articolo accennavo alle aspettative e ai sogni, sia dei ragazzi, sia dei “lavoratori” nei laboratori, sia del popolo, che sono tuttora quelle, anzi, visto l’aggravarsi e l’affacciarsi della crisi somala la situazione è un po’ peggiorata. In aggiunta il governo sta cercando di racimolare soldi per finire una diga immensa da costruire sul letto del Nilo Azzurro: questo provoca dissapori internazionali, perché l’Egitto vanta una prelazione su tutto il Nilo anche al di fuori dei suoi confini, e delle migrazioni interne perchè la popolazione dell’Oromia, una delle zone dell’Etiopia, a nord della diga dovrà spostare i villaggi più in alto nella valle, mentre a sud dovrà regolarsi con i “rilasci” d’acqua della diga stessa che regolamenterà la portata del fiume.

Dopo questa introduzione ritorniamo alla “mia missione” e cerchiamo di dare parole a questa esperienza che, come l’altra volta, ti sconvolge, ti fa riflettere, ti apre il cuore e l’anima, ti lascia carico e pieno di speranza, con la voglia di cambiare tante cose.

Per prima cosa, comunque, vorrei sfatare un luogo comune in cui appena dici: “Sono stato in Africa” la domanda che segue è: “Ma non sei abbronzato?”. E’ come domandare ad uno svedese se vuole accesa l’aria condizionata a dicembre. Questo perchè si pensa che l’Africa sia il continente “nero” in cui il sole picchia ore e ore sulla testa e quindi è naturale che dopo 20 giorni passati li si torni “coloriti”… ma non è così. L’Africa è continente immenso, pensate che per arrivare in Etiopia, che è ancora al nord dell’equatore, ci vogliono 6 ore di volo. L’Africa non da tutte le parti è uguale, anzi, ci sono zone desertiche, dove ti puoi abbronzare, e zone tropicali dove l’acqua è molto frequente in un periodo come questo che viene considerato la “stagione delle piogge”. Oltretutto l’Etiopia non è pianeggiante ma si sviluppa su montagne che superano i 3000mt. Solo Addis Abeba è su diverse altezze con una media intorno ai 2600mt sopra il livello del mare, mentre Dilla, città in cui ho lavorato in questo periodo, è posta a 1500mt e la temperatura media è di 18°C. Quindi “non mi sono abbronzato”, anzi, di notte bisognava anche coprirsi perchè le temperature potevano scendere di qualche grado e vedevo i “locali” vestiti con giubbottini imbottiti e con il pelo nel cappuccio: per loro sta iniziando l’inverno!!!

Mi accingo a scrivere questo articolo e mi accorgo  che è difficile distinguere l’esperienza di vita quotidiana con il racconto di un servizio “missionario”. Forse perchè le due cose sono strettamente correlate, o forse perchè, partendo dal nostro piccolo, in cui anche il vicino può essere ispirazione di missione, missione che intendo come portare l’annuncio di Cristo Risorto, corrisponde con un stile di vita. Ecco questo potrebbe essere il punto: non importa se sei lontano chilometri da casa o sei nella tua parrocchia, l’importante è che la missione la “vivi” con uno stile, quello cristiano, quello dell’Amore gratuito donato. Mi sovviene un tema di un oratorio estivo di molti anni fa: è più bello dare che ricevere. Davvero il “tutto” potrebbe essere raccolto in questo semplici parole, che sono difficili da vivere perché la società ci porta verso un individualismo ben lontano dalla condivisione delle cose.

Credo che questo sia l’essenziale per vivere una “missione”: l’umiltà e la semplicità nella condivisione.

Torno, prima di chiudere questo articolo, all’esperienza etiope vissuta in compagnia di Icio e di Carla.

Maurizio, molti lo conoscono di più come Icio, ha deciso di vivere questa esperienza per 6 mesi, ma essendo la burocrazia uguale in tutto il mondo, forse dovrà tornare per alcune settimane per poter rifare il visto e ripartire per gli altri 3 mesi che aveva intenzione di fare. I lavori sono tanti, le cose da fare non mancano, e spendersi per mettersi al servizio degli altri è davvero lodevole. Credo, e mi perdoni se scrivo qualche castronata, che stia vivendo un suo “carisma”, un suo talento. E questo lo si vede nel suo volto, rilassato e disteso, e lo si vede anche nel volto degli altri fratelli e padri, missionari, che da molti anni vivono l’esperienza missionaria a cui sono stati chiamati. Il trovare il proprio carisma o talento aiuta a vivere meglio, in primis con se stessi, e poi con le persone che ti circondano portando un “segno” visibile di quello stile che dicevo all’inizio.Di Carla, invece, lascio “parlare” il suo articolo su questa esperienza che pubblicherò nei prossimi giorni.

Ognuno parte con delle aspettative, vive delle esperienze, e sicuramente ne viene a casa arricchito, ma questo lo si può fare anche nel quotidiano. Sta a noi trovare il giusto compromesso tra le varie missioni che il Progetto di Dio ha su di noi, cercando di guardare sempre in modo positivo, senza lamentarsi, quello che la vita ci pone davanti e scegliendo la strada che realizza i nostri talenti portando frutto, non solo nel mondo intero, ma anche nel nostro piccolo, in primo luogo in noi stessi.

2 commenti

  1. il tuo splendido post credo raggiunga il culmine.. con  le parole

    Credo che questo sia l'essenziale per vivere una "missione": l’umiltà e la semplicità nella condivisione.

    .. spirito che ti contradistingue e che fa di te una persona speciale per come ti prodighi e quello che fai dedicandoti con il cuore a iniziative, missioni sempre lodevoli, e il solo sorriso di questi splendidi bambini credo ripaghi più di ogni cosa..

    dici bene sai.. è importante trovare il giusto compromesso.. e guardare avanti positivamente

    un caro saluto

    p.s.
    e l'africa è un continente immensamente splendido

  2. Il viso di quella bimba, da solo, apre il cuore e l'anima.
    Ho visto anche tutte le altre fotografie, le capanne, i sorrisi. Non ho mai toccato con mano una realtà tanto difficile, la vedo in fotografia, la conosco dalla televisione, e dai racconti di chi, come te, l'ha toccata, vista, respirata, vissuta. Immagino che vivere accanto a queste persone sia un po' migrare in un mondo totalmente differente, in una realtà dove regole, priorità e scala dei valori sono altri. Non conosco Maurizio, ma credo che la sua scelta sia una scaelta importante e ponderata e sicuramente fortemente motivata. Un augurio a Maurizio per il suo lavoro e per il contributo che ha deciso di portare a quella popolazione offesa, ferita, e anche dimenticata.
    Quando mi trovo a leggere di queste realtà, non posso fare a meno di pensare ai bambini e mi chiedo, ogni volta per quale ragione un bimbo nasce in un posto sbagliato della terra, mentre un altro nasce in un caldo ospedale circondato da cure, coperte calde, borotalco e giochini appesi alla culla, e carillon. .Perché?
    Un abbraccio.

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